I cassetti del legislatore sono pieni di progetti e proposte di legge che non vedranno mai la luce. Alcuni potrebbero fare la differenza, di altri nessuno sentirà la mancanza. Questo vale anche per il settore delle criptovalute.
La proposta europea
Il cassetto del legislatore europeo, per esempio, sembra essersi chiuso sulla proposta avanzata in sede parlamentare, di introdurre all’interno del MICA (Market in Crypto Asset Regulation) limitazioni al ricorso di blockchain basate sulla cosiddetta Proof of work.
È l’ultima frontiera della guerra alle criptovalute: quella pseudoambientalista. Si giustifica un provvedimento restrittivo con argomenti legati all’eccessivo consumo energetico.
Inutile riproporre qui le molte ragioni che dimostrano la debolezza dell’argomento e la palese sproporzione di simili restrizioni rispetto all’impatto che verrebbe generato su quello che è un settore economico di dimensioni ormai rilevanti, impossibile da ignorare.
Ormai quel cassetto è stato frettolosamente chiuso e, a quanto pare, è improbabile che venga riaperto.
La proposta di legge italiana sulle criptovalute
Nel cassetto del legislatore italiano, invece, riposa una proposta di legge, a firma dell’On. Zanichelli (M5S), che avrebbe molto senso rispolverare e tirare fuori dalle secche dell’iter parlamentare.
La proposta di legge è intitolata “Disposizioni in materia di trattamento tributario delle operazioni in valute virtuali nonché disciplina degli obblighi antiriciclaggio”.
Si tratta certamente di una proposta di legge perfettibile e migliorabile, ma ci sono diversi spunti positivi, che vanno incontro all’esigenza di colmare l’attuale vuoto normativo creando un sistema di impositivo dedicato alle criptovalute, in grado di tenere conto delle peculiarità anche tecnologiche di questo tipo di asset.
Da qualche parte, tuttavia, di deve pur cominciare.
Proviamo a passare brevemente in rassegna questo disegno di legge.
Il primo aspetto positivo sta nel fatto che il prelievo fiscale viene configurato come un’imposta sostitutiva, con un’aliquota del 4%, sulle plusvalenze maturate: un carico fiscale ragionevole, che tiene conto della particolare natura delle criptovalute (o quanto meno, della maggior parte di esse) e in qualche modo la riconosce ai fini fiscali.
Un altro elemento positivo è costituito dall’introduzione di un meccanismo di determinazione del valore di conversione, ai fini della determinazione dell’imposta, attraverso una perizia: contribuisce a dare oggettività e agevola il contribuente, in un ambito in cui è difficile ricostruire anche storicamente il controvalore di una valuta virtuale, a causa della totale deregolamentazione delle piattaforme di scambio, e della conseguente opinabilità dei dati che si possono ricavare, mancando un listino ufficiale (il che è una delle tante ragioni per cui è insostenibile l’equiparazione delle valute virtuali alle valute estere, sulle quali invece è tetragona e ferma la posizione del fisco nostrano).
Questa disposizione ha, inoltre, l’indubbio vantaggio di mettere al riparo il contribuente dall’applicazione più o meno arbitraria di meccanismi presuntivi punitivi, a cui spesso il fisco italiano ama ricorrere.
Ha poi molto senso la previsione in cui si stabilisce che ai fini della determinazione delle plusvalenze vengono considerate le sole operazioni di pagamento o di conversione in euro o in valute estere.
Questo tipo di disposizione sgombererebbe finalmente il campo dal dubbio che le operazioni di conversione da valuta virtuale ad altra valuta virtuale possano essere considerate tra quelle che genera plusvalenze imponibili.
Quali sono gli aspetti che potrebbero essere utilmente implementati?
Uno di questi potrebbe essere il quadro delle definizioni: nel progetto di legge si coglie lo sforzo di creare una categoria omogenea che abbracci tutti i crypto-asset, attraverso l’introduzione di quella che viene definita “unità matematica”, ossia “l’unità minima matematica crittografica, statica o dinamica, suscettibile di rappresentare diritti, con circolazione autonoma”.
Questa categoria avrebbe portata generale, e costituirebbe il genere di cui le valute virtuali sarebbero solo una specie.
Questo però non basta a fornire un inquadramento chiaro di quei crypto-asset o crypto-attività il cui utilizzo è già molto diffuso (come i token emessi nell’ambito delle ICO o gli NFT) e di quelli che, con la rapida evoluzione del mercato e dei servizi, si vanno affermando o si affermeranno in futuro.
Attualmente, il fisco italiano tende ad includere questo tipo di asset indiscriminatamente nella sfera di applicazione delle disposizioni fiscali che sostiene doversi applicare alle valute virtuali (sulla base del noto e discutibile teorema di equiparazione delle valute estere), anche quando si tratti di strumenti che rispondono a funzioni oggettivamente diverse e molto distanti da quelle tipiche delle valute virtuali.
Si pensi agli NFT o alla distinzione tra utility token e security token: una legge in cui manchi qualunque riferimento al regime impositivo applicabile alle varie categorie di asset, quanto meno in forma di criterio distintivo, sarebbe un’occasione mancata e soprattutto lascerebbe il settore in balia di interpretazioni arbitrarie che è ora di superare in modo netto.
In questa prospettiva, l’esistenza di una categoria generale, come l’unità matematica disegnata della proposta di legge serve a poco o a nulla.
Ed ancora, c’è il tema del monitoraggio fiscale: la proposta di legge stabilisce regole che costituiscono, per lo più, una ratifica delle correnti interpretazioni del fisco italiano (quindi, le famose soglie di 15.000 euro) ma non spende una parola nel chiarire in quali casi una valuta virtuale si possa considerare detenuta all’estero e quando no.
Questo alimenta il nodo mai realmente spiegato, per cui il fisco assume che la detenzione di criptovalute (e quindi di qualsiasi altro crypto asset) sia di per sé detenzione di attività finanziaria all’estero da dichiarare obbligatoriamente.
Rispetto a questo tema sarebbe stato utile che il legislatore avesse preso posizione sul tema della localizzazione delle chiavi private (in Italia o all’estero) che sembra l’unico criterio ragionevole per stabilire dove si debbano considerare detenuti tali asset.
In conclusione, questa proposta di legge costituisce una piattaforma di partenza sulla quale si potrebbe avviare un costruttivo dibattito per confezionare un pacchetto di disposizioni efficaci e soddisfacenti.
Il vero problema è che questo dibattito, allo stato, non c’è.
Il dibattito che non c’è
La proposta di legge è stata presentata il 24 maggio 2021, assegnata alla VI Commissione Finanze, in sede referente, il 16 novembre 2021, ma da allora non risulta calendarizzata alcuna ulteriore attività parlamentare.
Quel cassetto, perciò, almeno per il momento, resta chiuso, nonostante l’attivismo dell’On. Zanichelli.
La cosa fa riflettere perché è un preoccupante segnale che in seno all’assemblea legislativa italiana non vi sia sensibilità né consapevolezza del fatto che quello delle crypto attività è un settore in cui crescono attività economiche in crescita esponenziale su scala globale, non solo in ambito puramente finanziario, ma anche in ambito produttivo: dalla produzione di hardware, alla comunicazione e marketing, ai servizi di consulenza e sviluppo informatico, e così via, per milioni di posti di lavoro.
E sembra che nessuno in parlamento si accorga del ruolo che le criptovalute giocano anche nell’ambito di eventi geopolitici cruciali.
Come nel caso della guerra in Ucraina, in cui il ricorso alle criptovalute, in un momento in cui si interviene sui circuiti bancari e finanziari convenzionali, può essere un game changer.
Insomma, qualcuno nei palazzi della politica vuol cominciare a capire che le crypto attività non sono più quel giochino riservato a qualche nerd, come poteva essere un decennio fa?
Source: https://cryptonomist.ch/2022/03/04/proposte-di-legge-criptovalute-italia-europa/